giovedì, ottobre 24


Nettezza urbana
esco, al solito, con mio marito. Ci sorpassa una giovin signora; noto il bel personale, cammina svelta dando colpi di anche.
A un tratto si gira e mi fa - "non si vergogna"? -
- prego? di cosa"? -
- il suo cane ha fatto il bisogno e lei non l'ha raccolto! -
- ah - dico - l'ha fatta tra le erbacce, come faccio a prenderla.. -
- no, non l'ha fatta tra le erbacce, lei è una cafona e maleducata e la città è sporca per colpa di gente come lei. -
- se ci fossero state aiuole, o se ogni tanto passasse qualche attrezzo a disinfettare queste strade dove non piove da sei mesi..lo sa che i cigli delle strade sono pieni di zecche? provi a raccogliere lei qualcosa a terra! -
-chi ha il cane se lo pianga!- ribatte sdegnata, alzando la voce e infuriandosi quando le rispondo:- e invece se lo piange lei!-
Dice altre cose sempre più calcando i toni, intanto che Prugnetta urina sul cerchione di un catorcio.
Ovvio, so di avere torto marcio.


Erano orfismi le parole

teli di ragno tra le sponde dell'anima
Chi fu a inventare il suono
rovesciato su cinque corde di notte?
La stanza
dove non si riusciva a buttar fuori la luna a motore...
gli scuri tornavano indietro
-ch(e) lu passant(e)
diceva mamma
- se lu so' magnat(e) li tarl(e) -
e a me segnava occhiaie
l'insonnia
Quel tarlo un giorno si presentò
e mi disse
- sono la tua parola -

sabato, ottobre 19



 Come tenermi lontana
dal corpo di parole
poggiate
a un recinto di cielo
la pervicacia
di non farsi toccare
il rigore cattivo
come dell’orso sopraggiunto
di macchia nera intermittente
tra il piano e le forre
nella rete
entrambi a dirci
come si diventa brutti
come ci si gira male
su questo percorso segnato
da labbra in movimento
ORFISMI E PAROLE
(per te che non hai avuto il tempo di leggere)


Non ho fiducia nella referenzialità della parola; indago sul
retroscena per trovare una chiave di lettura che non si fondi
semplicemente sulla musicalità dei suoni, o sui ghirigori dei morfemi
o sul pressappochismo dei semantemi.
La parola in sé è poca cosa, tende agguati, gira le spalle alla nobiltà
del segno, tradisce appena può, è disposta a “mal fare”.
L’ho scoperto nel mio vissuto di silenzio, sfregiato da sporadici
tentativi di “parlare”.
Ho deciso di vendicarmi violentandola, sviscerandola, sezionandola,
torturandola, “usandola”.
Devo dimostrare che essa mènte, che dice altro da sé, devo cercare
dove si nasconde la sua vera faccia e perché sia così subdola.
La parola, smascherata della sua arroganza, stimolata a “parlare”,
taglia i ponti con l’accezione contingente, dice altro iniziando un
racconto a ritroso, fino alle radici della storia.
La parola diventa evocativa, rivela ciò che il semplice ascolto, la
semplice lettura o scrittura non vedono. Essa prende a soffrire,
chiama a raccolta le creature che non sono state ascoltate, grida per
bocca loro, si contorce, fa giustizia del dolore solitario.